Il monachesimo
e San Benedetto

IL MONACHESIMO

San Benedetto non è il fondatore della vita monastica, neppure di quella occidentale. Egli è vissuto nella prima metà del secolo VI, mentre le origini del monachesimo in seno alla chiesa sono assai più antiche: raggiungono quasi l’ambiente delle prime comunità cristiane: già nel secolo III si collocano le prime testimonianze scritte sull’esistenza di un monachesimo vero e proprio. Si ha così l’impressione che il noto invito del Signore: “Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai dallo ai poveri e avrai un tesoro nei celi; poi vieni e seguimi”, abbia trovato un’immediata risposta tra uomini e donne che si sono imposti un modo di vivere diverso da quello degli altri cristiani: una vita casta mediante il celibato accettato volontariamente, una vita povera e penitente.

Una vita diversa che ben presto ha richiesto un ambiente diverso nell’ambito della stessa società ecclesiale: è sorto così il fenomeno dell’”entrata nel deserto”, sia nelle solitudini dell’Egitto e della Siria, mediante l’esperienza eremitica e cenobitica, sia nella solitudine e nella separazione dal mondo dei monasteri sorti accanto alle città o nelle città stesse. Questa comune caratteristica emerge in tutte le manifestazioni dell’esperienza monastica: un costante orientamento verso Dio, il bisogno di una adesione a Lui che sia totale, pura, senza altre distrazioni. Presto sarà chiamata con il suo vero nome: si parlerà così di una “vita contemplativa”.

Non a caso il termine monaco, deriva dal greco “Monachos” cioè colui che vive da solo, il solitario per eccellenza. Grazie alle fonti monastiche, siamo in grado di descrivere dettagliatamente la vita quotidiana di un monaco del deserto. Coloro che volevano iniziare tale cammino, si mettevano sotto la guida spirituale di un anziano per l’opportuno discernimento della propria vocazione. I neofiti, non erano incoraggiati in tale cammino ma al contrario, venivano messi alla prova anche duramente poiché, avevano scelto di svolgere la propria vita in luoghi desolati dove alle volte, anche i bisogni più elementari avrebbero potuto essere difficilmente soddisfatti.

Essi vivevano in capanne dove si riparavano dal sole di giorno e dal freddo di notte, dove mangiavano, pregavano e lavoravano anzi, la custodia della cella, serviva al discernimento stesso. L’abito via via cominciò ad essere comune a tutti e consistette in una tunica, uno scapolare o mantello stretto attorno ai fianchi e dei sandali. Essi attingevano le proprie preghiere dalla lettura dei testi biblici e dal salterio, contenente i salmi che venivano imparati a memoria e continuamente meditati.

Di fronte al promettente sviluppo del monachesimo in Oriente, anche nell’Occidente cristiano, iniziò a manifestarsi un vivo interesse per questa forma di vita. Anche grazie ai frequenti viaggi e conseguenti frequentazioni con i padri del monachesimo, l’Occidente vide nel monachesimo, un punto di riferimento in un periodo di profondi sconvolgimenti dovuti in primo luogo alle invasioni barbariche e alle incertezze politiche ad essi conseguente.

C’è da puntualizzare il fatto che, in queste regioni, il paganesimo era ancora molto diffuso e quindi grazie alla fondazione dei primi monasteri, si consentì la progressiva cristianizzazione degli abitanti. Monasteri sorsero un pò dovunque in queste terre, dalla Sicilia alle isole del Tirreno, dall’isola di Lerino alle Baleari, dalla Penisola iberica alla Gallia. Eminenti personalità monastiche furono San Martino di Tours in Gallia, Sant’Agostino in Africa.

 

SAN BENEDETTO

San Benedetto Quale l’importanza di San Benedetto per il monachesimo occidentale, già così vivo e vivace nella chiesa del VI secolo. Tutto il suo apporto, per questo particolare aspetto, è affidato a un documento eccezionale, la Regola, sulla cui autenticità non pare si possano avanzare seri dubbi. A differenza di altri personaggi dell’antichità, sui quali numerose testimonianze sono giunte fino a noi, per conoscere san Benedetto, abbiamo un testo solo, composto verso la fine del VI secolo, che di lui parla, ma tale fonte appartiene ad un genere letterario il cui intento principale non è quello di documentare fatti storici, bensì di edificare i lettori col presentare buoni esempi. E’ questa l’indole del dialogo che il papa Gregorio Magno immagina di aver intrattenuto con il diacono Pietro. Un libro intero della sua opera infatti è dedicato a san Benedetto. E’ così possibile fissare alcuni punti:

Benedetto fu un uomo di Dio nel senso che il santo è stato totalmente immerso nello Spirito di Dio, in intimo contatto con Lui: i numerosi miracoli e l’eccezionale discernimento degli spiriti, sono indice di questa intima comunione.

Benedetto attese semplicemente alla santità indicando attraverso la Regola, un sentiero angusto ed aspro, ma luminoso e sicuro.

Se si considerano questi fatti, la figura del santo non appare come quella di un fondatore, è innanzitutto il profilo di un’ anima in cerca di Dio. Qualora non avesse scritto la Regola, non solo la sua santità rimarrebbe inalterata, ma potrebbe essere presentato ugualmente come un maestro e un modello per i monaci. Pertanto se con la sua vita Benedetto si presenta più come un fratello che come un fondatore, con la sua regola si mostra più che un legislatore, come un educatore, o meglio ancora un padre nel senso biblico di tale espressione. Questa sua Regola dapprima fra le altre, divenne poi, nei secoli VII e VIII, la Regola costantemente unita alle altre, e nel secolo IX la Regola per eccellenza, osservata in tutti i monasteri dell’impero carolingio.

San Benedetto continua così con l’esempio dell’umile sua vita, condotta nella solitudine in cerca di Dio e con la dottrina spirituale della sua Regola, a sospingere i monaci verso ciò che è eterno.

San Benedetto nacque verso il 480 da una famiglia di nobiltà provinciale in una regione montuosa della Sabina del nord, Norcia. Gli anni in cui visse, non furono tranquilli dal punto di vista politico. Il re degli ostrogoti, Teodorico, aveva appena sconfitto l’impero romano d’occidente, assassinando il capo barbaro Odoacre nel 493. Anche la chiesa aveva al suo interno gravi problemi. Il papa Simmaco, faceva guerra al suo concorrente Lorenzo, sorretto dai Bizantini e ci vorrà l’intervento di Teodorico per allontanare l’atipapa.

Benedetto ancora adolescente, venne mandato a Roma insieme alla sua nutrice, per completare i suoi studi. Si trovò subito a soffrire nel proprio intimo, a contatto con gli altri studenti romani, col pericolo di perdere la propria genuinità cristiana, ricevuta dall’educazione in famiglia. Scrive Gregorio il suo biografo: “ A Roma lo attendeva una grande delusione; non vi trovò altro, purtroppo, che giovani sbandati, rovinati per le strade del vizio”; per questo “appena posto il piede sulla soglia del mondo, lo ritrasse immediatamente indietro” e decise di abbandonare Roma e i suoi studi. Se ne partì, accompagnato dalla sua nutrice, poiché “ gli ardeva nel cuore un’unica ansia: piacere soltanto a Dio. Si allontanò quindi; aveva scelto di essere consapevolmente incolto , per imparare sapientemente la scienza di Dio”. Si fermò prima ad Affile (allora si chiamava Enfide), una settantina di chilometri da Roma, percorrendo la Via Tiburtina, verso Subiaco. Dove abitò presso la chiesa di San Pietro. Qui avvenne il primo miracolo della sua vita. La nutrice aveva preso in prestito un vaglio di coccio e inavvertitamente lo aveva rotto; disperata per la disavventura, piangeva sconsolata, fino a suscitare in Benedetto una grande compassione. Pregò e il vaglio si congiunse; ma questo miracolo suscitò tanta ammirazione, da togliergli al pace costringendolo ad abbandonare il luogo dove fino a quel momento aveva abitato e questa volta se ne andò da solo poiché “non amava affatto le lodi del mondo, ma bramava piuttosto sottoporsi a disagi e castighi per amore di Dio”.

Lungo la strada, incontrò un monaco di nome Romano; sarà il custode del segreto della sua nuova abitazione in una spelonca della valle dell’Aniene e anche il suo sostegno per il cibo quotidiano, fino a quando, un sacerdote dei dintorni non lo scoprì e gli portò da mangiare nel giorno di Pasqua. Dopo il sacerdote, lo trovarono alcuni pastori che iniziarono a sostenerlo quotidianamente con visite frequenti. Superò le numerose tentazioni che la natura umana proponeva. Famosa è una tentazione impura, superata gettandosi tra i rovi. Racconta San Gregorio: “ Un giorno lo invase una tentazione impura così forte, come il santo uomo non aveva mai provato. Un tempo egli aveva veduto una donna ed ora lo spirito maligno turbava con triste ricordo la sua fantasia e già quasi vinto, stava per decidersi ad abbandonare lo speco. Fu un istante, illuminato dalla grazia divina, ritornò improvvisamente in se stesso. Visti la alcuni cespugli di rovi e ortiche, si spogliò delle vesti e si gettò nudo la in mezzo e quando ne uscì, era lacerato per tutto il corpo; ma con gli strappi della pelle aveva scacciato dal cuore l ferita dell’anima, aveva vinto l’insidia del peccato”.

La sua fama ormai andava crescendo e alcuni monaci di un paese vicino, Vicovaro, andarono da lui a chiedergli che divenisse lo abate. “Si rifiutò a lungo con fermezza, soprattutto perché era convinto che i loro costumi, non si sarebbero mai potuti conciliare con le sue convinzioni ma alla fine acconsentì e iniziò subito a vigilare sui fratelli”. Furono i monaci a pentirsi della scelta fatta, non lo potevano sopportare a causa della sua rettitudine e decisero di avvelenarlo; ma la benedizione che Benedetto diede al bicchiere contenente il veleno, lo mandò in frantumi e il Santo “ si alzò all’istante, senza alterare minimamente la mitezza del volto e la tranquillità della mente, fece radunare i fratelli e disse semplicemente così: Io chiedo al Signore che voglia perdonarvi , fratelli cari e se ne tornò alla grotta solitaria, sotto gli occhi di Colui che dall’alto vede ogni cosa”.

Ma presto cominciarono ad arrivare giovani che volevano seguirlo e dovette rinunciare alla vita ascetica. Organizzò quindi dodici monasteri con 12 monaci ciascuno sotto la guida di un abate mentre lui, rimaneva in una latro monastero dove formava i postulanti e i novizi. Qui compì numerosi miracoli. Fece sgorgare l’acqua dalla pietra, per servire tre monasteri costruiti tra i monti, fece riattaccare al suo manico la falce caduta nel lago riconsegnandola al monaco che stava lavorando. Il miracolo più famoso però fu quello operato per salvare dall’annegamento il discepolo Placido: “Placido immergendo sbadatamente il secchiello che reggeva per mano, trascinato dalla corrente cadde anche lui nell’acqua e l’onda lo travolse trasportandolo lontano da terra, quasi quanto un tiro di freccia. L’uomo di Dio, benché fosse dentro la cella, si accorse immediatamente del fatto. Chiamò in gran fretta Mauro e gli gridò: Corri fratello Mauro corri, perché Placido, che è andato a prendere l’acqua, e cascato nel lago, e le onde già se lo stanno trascinando via. Avvenne allora un prodigio meraviglioso …. Chiesta e ricevuta la benedizione, Mauro si precipitò volando ad eseguire il comando che il Padre gli aveva espresso e convinto di camminare ancora sulla terra, corse sulle acque fin là dove si trovava il fanciullo, lo acciuffò per i capelli e poi correndo veloce, tornò indietro. Non appena toccato terra ritornò in se, si volse, vide e capì di aver camminato sulle acque. Benedetto attribuì subito il miracolo alla pronta obbedienza di lui, Mauro insisteva che tutto era potuto accadere soltanto per comando di lui. In questa amichevole gara di umiltà, si frappose il fanciullo salvato e disse: “ Mentre venivo salvato dall’acqua, io vedevo sopra di me il mantello dell’abate e sentivo che era proprio lui stesso che mi tirava fuori”.

Tutto questo, rese invidioso un sacerdote vicino di nome Fiorenzo, che iniziò a spargere dubbi sulla santità di Benedetto, anche i suoi fedeli lo abbandonavano per ricorrere alla direzione del Santo. Un giorno gli inviò un pane in segno di amicizia ma all’ora del pranzo, Benedetto comandò ad un corvo, di prendere il pane e di portarlo via affinchè non arrecasse danno a nessuno il pane infatti era avvelenato. Ma Fiorenzo non si arrese. Fece entrare in monastero sette fanciulle nude che tenendosi per mano, iniziarono a ballare davanti ai monaci. A questo punto, Benedetto andò via portando con se solo alcuni monaci e non tornò indietro neppure quando gli dissero che Fiorenzo era morto piangendo anzi a dirotto, sia perché era morto il nemico, sia perché i suoi monaci se ne erano rallegrati.

Giunto così a Montecassino, lasciò il paese che si trovava ai piedi del monte e salì verso la cima, “ dove c’era un antichissimo tempio, dove la gente dei campi, secondo gli usi antichi pagani, compiva superstiziosi riti in onore di Apollo; appena vi giunse, fece a pezzi l’idolo, rovesciò l’altare, sradicò i boschetti e dove era il tempio di Apollo, eresse un oratorio in onore di San Martino e dove era l’altare sostituì una cappella che dedicò a San Giovanni Battista. Si volse poi alla gente che abitava li intorno e con assidua predicazione la andava invitando alla fede”. Anche a Monteccassino avvennero molti miracoli. Oltre a quelli riguardanti la vita del monastero e i monaci che vi abitavano come ad esempio quello di una grandissima pietra, pesantissima, che per intervento di Benedetto diviene leggera ed usabile per la costruzione o quello di un giovane monaco, che rimane schiacciato dalla caduta di un muro e che portato nella cella del Santo, ritorna in vita, ve ne sono altri che riguardano persone viventi all’esterno del monastero. Uno dei più famosi, è quello della simulazione del re Totila che per provare la santità di Benedetto, andatolo a trovare, inviò al suo posto il suo scudiero rivestito con i suoi abiti regali e circondato da tutto il suo seguito, a cui Benedetto gridò da lontano: “Deponi, figliolo, deponi quel che porti addosso; non è roba tua!”. Quando Totila si presentò personalmente, questi lo rimproverò della sua cattiva condotta e in poche parole, gli predisse quanto gli sarebbe accaduto di li a poco . “Tu hai fatto molto male e molto ne vai facendo ancora; sarebbe ora che una buona volta mettessi fine alle tue malvagità. Tu adesso entrerai i n Roma, passerai il mare, regnerai nove anni, al decimo morirai”. Lo atterrirono profondamente queste parole, chiese al Santo che pregasse per lui , poi partì. Da quel giorno diminuì di molto la sua crudeltà”. Oltre alle relazioni con la gente del luogo, anche le autorità ecclesiastiche dei dintorni accorrevano a lui, “ del vescovo di Capua, Germano, vide l’anima salire al cielo, trasportata dagli angeli, raccolta in globo di fuoco”. Durante la sua vita, predisse anche la distruzione del suo monastero e ne soffrì moltissimo. “Tutto questo monastero che io ho costruito e tutte le cose che ho preparato per i fratelli, per disposizione di Dio Onnipotente, sono destinate in preda ai barbari. A gran fatica sono riuscito ad ottenere che, di quanto è in questo luogo, mi siano risparmiate le vite”. Il monastero infatti, fu distrutto dai Longobardi. Un avvenimento speciale va sottolineato, per ricordare la vita di sua sorella gemella, Scolastica; un miracolo che ci fa conoscere la vocazione di lei e da fondamento a tutti quei monasteri benedettini femminili. “Egli aveva una sorella di nome Scolastica, che fin dall’infanzia si era anche lei consacrata al Signore. Ella aveva l’abitudine di venirgli a fare visita una vota all’anno, e l’uomo di Dio le scendeva incontro, non molto fuori della porta, in un possedimento del monastero. Un giorno dunque, venne e il suo venerando fratello le scese incontro con alcuni discepoli. Trascorsero la giornata intera nelle lodi di Dio ed in santi colloqui, e quando cominciava a calare la sera, presero insieme un po di cibo. Si trattennero ancora a tavola e col prolungarsi dei santi colloqui, l’ora si era protratta più del consueto. Ad un certo punto la pia sorella, gli rivolse questa preghiera: “ Ti chiedo proprio per favore, non lasciarmi per questa notte, ma fermiamoci fino al mattino a pregustare con le nostre conversazioni, le gioie del cielo….”. Ma egli rispose: “ Ma cosa dici mai, sorella? Non posso assolutamente pernottare fuori del monastero”. La serenità del cielo era totale; non si vedeva all’orizzonte neanche una nube. Alla risposta negativa del fratello, la religiosa poggiò le mani sul tavolo a dita incrociate, vi poggiò sopra il capo, e si immerse in profonda orazione. Quando sollevò il capo dalla tavola, si scatenò una tempesta di lampi e tuoni insieme con un diluvio d’acqua, in tale quantità che ne il venerabile Benedetto, ne i monaci che erano con lui, poterono mettere i piedi fuori dal’abitazione. “ Che Dio onnipotente ti perdoni, sorella benedetta; ma che hai fatto?”. Rispose lei: “ Vedi, ho pregato te e non mi hai voluto dare retta; ho pregato il mio Signore e lui mi ha ascoltata. Adesso esci pure, se gliela fai, e lasciami e torna al monastero”… E non c’è per niente da meravigliarsi che una donna, desiderosa di intrattenersi più a lungo con il fratello, in quella occasione abbia avuto più potere di lui, perché, secondo la dottrina di Giovanni “ Dio è amore”; fu quindi giustissimo che potesse di più colei che amava di più”. Scolastica morì tre giorni dopo. Anche san Benedetto morì pochi giorni dopo, verso il 547, il 21 marzo.

La traslazione dei suoi resti ricorre l’11 luglio che, dal 1969, il calendario romano ha fissato come giorno della sua festa, per poterlo celebrare al di fuori della Quaresima. San Benedetto è stato proclamato padre dell’Europa da Papa Pio XII nel 1947, nel 14° centenario della morte, e Patrono dell’Europa da Papa Paolo VI nel 1964, riconoscendo in questo modo l’opera compiuta dai suoi discepoli che almeno per quattro secoli hanno svolto una azione decisiva con l’evangelizzazione e l’opera missionaria in tutte le nazioni dell’Europa occidentale.